“Prima c’era la Gigia, ora c’è Penny - Mezzo secolo di viaggi d’ogni tipo... e anche altri racconti”; Giorgio Càeran – ‘Youcanprint’ – 2024 o 2025 (?) – 576 pagine – formato cm 17 x 24 con le alette larghe 9 cm. &&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&& &&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&

mercoledì 21 agosto 2024

 consiglio di stampare ciò che segue,

perché potrebbe essere utile per chi intenda

pubblicare i propri diari di viaggio

 

 

Mi capita di leggere in anteprima dei racconti di viaggi, scritti da dei vespisti che a quanto pare hanno una buona considerazione di me e vogliono dei consigli: mi auspico di non averli delusi. Ebbene, nel leggere i vari resoconti noto delle sviste o altre cose un po’ stravaganti e allora mi permetto di proporre dei suggerimenti (che, mi sembra, siano ben accetti). Ecco, a un certo punto una parte di questi consigli li ho raccolti e ho pensato che potessero essere utili anche a qualcun altro che si appresti a scrivere i propri racconti di viaggio. In sostanza do dei consigli per chi è un novizio nello scrivere: a lui potrà servire. Premetto, però, che io non sia la persona più indicata per queste cose, tuttavia un po’ di esperienza nel campo penso – forse – di averne e potrebbe tornare utile almeno per le cose basilari senza pretendere di diventare delle leggende letterarie, ma purtroppo noto sempre più spesso che i primi rudimenti elementari siano del tutto ignorati. Io so di non sapere, so che devo ancora imparare per scrivere meglio e che l’apprendimento non dovrebbe mai essere interrotto: un errore, invece, che è troppo diffuso… ahimè. Ci sono tantissimi scrittori assai più esperti di me e, qualora si annoiassero in questa lettura, lascino perdere senza però dimenticare che magari anche alcuni di loro all’inizio fossero degli sprovveduti (io di sicuro). Sarei stato contentissimo di aver avuto queste dritte quando ero giovane: ne avrei fatto tesoro. Sia chiaro che io non ho alcuna intenzione di fare l’analizzatore di testi, ci mancherebbe altro considerando la gran fatica (e la pazienza) che comporta: non ho tempo, perciò non è il caso d’inviarmeli ancora… abbiate pietà. Detto ciò me la sbrigo con il fornire delle semplici “regolette” dettate soprattutto dal buon senso, ma poi ciascuno decida se farne uso o no.

Innanzi tutto mi si passi una pignoleria: per chi non lo sapesse i libri si dividono in sedicesimi, ottavi, dodicesimi, diciottesimi, ventiquattresimi o trentaduesimi, a seconda sia del programma che si ha sia dal numero di pagine e, soprattutto, se ci si serve della stampa offset o del sistema digitale. Tuttavia i più utilizzati sono quelli in ottavi e in sedicesimi. In sostanza, qualora si dovesse fare un aumento magari di cinque pagine si è poi costretti ad aggiungerle altre tre per arrivare a otto, per poi dislocare anche altrove, oppure si possono lasciarle bianche nella parte finale. Nel libro che tratto in questo Blog, c’è però un altro calcolo da fare con un numero di pagine divisibile per 4: in ogni modo 576 pagine (come è questo libro) risulta essere il numero perfetto, essendo divisibile per qualsiasi impostazione. Si consideri, inoltre, che Youcanprint stampa di volta in volta qualsiasi numero di copie richieste, anche se fosse una sola. Già che ci sono do una dritta per chi intenda impaginare un libro: il primo rigo in alto dev’essere sempre intero e mai spezzato, tranne nelle date e nei dialoghi, oltre che nei titoli dei paragrafi. A livello grafico è sconsigliabile, anche, fare righe di appena due lettere: non è elegante. È probabile che nell’impaginazione il testo si modifichi e si faccia scorrere a seconda delle esigenze grafiche: niente, quindi, è definitivo… ma può essere mutevole. E, per ultimo, si tenga conto che i capitoli iniziano sulle pagine dispari.

Mi è sembrato doveroso dare una spiegazione tecnica che male non fa. Ciò che segue l’ho preso dal capitolo finale – quello sui saluti – del mio 6° libro, intitolato “Mezzo secolo rincorrendo il mondo - Nei viaggi la Vespa fu il primo amore… poi venne il resto (anno 2022 – 552 pagine, con Libreria Editrice Urso; e in 2ª Edizione nel 2023 – 568 pagine, con Youcanprint), e che ci sarà pure nella nuova edizione cui si fa riferimento in questo Blog. È ovvio che sul libro, per ragioni di spazio, abbia dovuto fare alcuni tagli. In pratica do dei consigli per chi è alle prime armi nello scrivere un racconto, magari dei propri viaggi: vi saranno utili.

Per decenza negli scritti eviterei certi avverbi, soprattutto quelli formati aggiungendo il suffisso mente, perché non mi sono simpatici essendo troppo lunghi e pesanti. Il più delle volte – dove è lecito – preferisco ammorbidire i discorsi facendone a meno e sostituendoli. Per esempio nuovamente diventa “di nuovo”; e se è possibile evito i vari “sinceramente”, “ovviamente”, “decisamente”, “precedentemente”, “improvvisamente”, “probabilmente”, “attentamente”, “stupidamente”, “onestamente”, “certamente”, “sicuramente”, “magnificamente”, “prevalentemente”, “accuratamente”, “velocemente”, “francamente”, “leggermente”, “bellamente”, e così via… alleggerendo le frasi. Di certo non vanno eliminati tutti, ma ridurli senz’altro... valutandoli in maniera accurata.

Si stia attenti anche all’uso di “letteralmente”, perché significa alla lettera. Ossia se si scrive ‘sono letteralmente a pezzi’, il significato è che il proprio corpo è davvero spezzettato. Io eviterei di usare questo avverbio, perché si rischia di diventare letteralmente sprovveduti.

Un pensiero particolare va all’abuso dell’avverbio assolutamente, che di per sé ha un significato neutro, perché è un semplice rafforzativo. Eppure, sempre più spesso, a semplici domande sento rispondere “assolutamente” senza la combinazione con le particelle affermative e negative: ma che significa? Da solo è zoppo e non vuol dire niente. Considerando che tale avverbio in solitaria non ha valore né positivo né negativo, si evitino le ambiguità e si risponda almeno “assolutamente sì” o “assolutamente no”. Se poi si evitasse del tutto l’uso di assolutamente, beh tanto meglio perché è superfluo… pertanto se ne può fare a meno.

In una frase non vanno messi due o più avverbi con il suffisso mente, perché il discorso perderebbe di brillantezza. Intendiamoci, non si tratta di errori mettere più avverbi simili assieme, ma di buon gusto e in uno scritto (soprattutto in un libro) l’eleganza ha il suo peso.

Come non mi piace scrivere “Verso sera raggiungo la città”. Io preferisco semmai dire “Verso sera giungo nella città”, perché raggiungere lo metto solo verso qualcosa di mobile, che si muova e si possa quindi… raggiungere. Ma usare questo termine verso qualcosa che è immobile, secondo me non ha senso. Io non raggiungo una città, ma pervengo, ci arrivo, giungo… nella città. Invece raggiungo a passi veloci l’amico che mi aspetta. E riguardo ai veicoli, faccio un distinguo: se è parcheggiato (quindi immobile) non lo raggiungo… ma semmai giungo al posteggio, poi, salito a bordo, posso raggiungere il veicolo di chi mi precede (quindi una cosa mobile).

Un consiglio: tutti i numeri, ad esclusione solo degli anni (ed eventualmente delle cilindrate dei veicoli), quando superano le tre cifre hanno bisogno di un puntino. Per esempio: un milione si scrive 1.000.000 e non 1000000… perché prima di tutto è errato e poi si fa confusione. Le migliaia devono apparire subito, a prima vista e senza dover calcolare la quantità di cifre. Sulla questione poi se sia giusto mettere il puntino o la virgola io opto per il puntino per le migliaia e la virgola per le centinaia. Io scrivo 3.334,52 anziché 3,334.52 come invece è spesso usato dapprima con la diffusione delle calcolatrici e poi da internet (che hanno sbagliato, ma ormai hanno dato via all’errore). Però io mi ricordo queste regole quando andavo a scuola e le ritengo ancora valide a prescindere dalle calcolatrici e da internet: al di là del così fan tutti, penso che sia meglio essere un po’ più anticonformisti soprattutto quando l’errore è palese.

Un’altra cosa in riferimento ai numeri: se si scrive ‘ci vorranno circa 1.000 chilometri per arrivare in quella città’, io in questo caso non metterei la cifra bensì scriverei mille chilometri. Se, però, si dovesse scrivere ‘oggi ho percorso 552 chilometri’, ebbene qui è meglio scriverlo in cifre e non in forma di testo (ossia non scriverei ‘ho percorso cinquecentocinquantadue chilometri’). In parole povere, quando la cifra è precisa – come sulle distanze – va messa in forma numerale, quando invece è approssimativa va in forma letteraria. Se si è a ‘circa mille metri di altitudine’, è diverso che dire ‘sono a 934 metri sul mare’. Io ho sempre adottato questa linea, che mi sembra la più corretta e meno caotica di tutte. Anche se, per essere precisi, in un racconto le cifre andrebbero quasi sempre riportate in forma letteraria lasciando le cifre solo in determinate tabelle o analisi. Sì, però… l’eccesso di precisione stanca.

Mi soffermo ora su un’abitudine troppo diffusa: accostare il punto esclamativo a quello interrogativo. È un orrore, perché questa accoppiata non si fa: o l’uno o l’altro. E che dire dei vari punti esclamativi assieme? Altro orrore, perché il punto esclamativo viaggia da solo e non vuole nessuno a fianco. Basta un solo punto esclamativo e non bisogna abusarne, ma va usato con parsimonia. Enzo Biagi, per esempio, ne faceva volentieri a meno… e se lui si comportava così, voi pensate di scrivere meglio?

I puntini messi per smussare le frasi devono sempre essere tre, né uno di più né uno di meno… salvo che si voglia fare dell’ironia, seppure non saprei come si giustifichi.

Su do, stostafaqui e qua l’accento non va; su  e su  l’accento ci sta, su me e su te l’accento non c’è e non lo vuol su ma lo vuol giù e lo vogliono pure più.

Non si dice ‘a gratis’, ma semplicemente gratis (essendo un avverbio che ci arriva direttamente dal latino). Si scrive qual è e non qual’è. E la bevanda si scrive , non thè o altre cose simili.

Mi piace ricordare un vecchio detto in cui dice che l’ignoranza è un apostrofo tra le parole un e apostrofo. La grammatica dice che davanti all’articolo indeterminativo “un” ci vuole l’apostrofo se la parola che segue è femminile. Mentre non lo richiede se è maschile. E con il sostantivo amante che è sia maschile che femminile, l’apostrofo è facoltativo? Ci vuole se ci si riferisce a una amante femmina, non ci vuole se ci si riferisce a un amante maschio. Se invece ci si riferisce a un amante indeterminato non ci vuole (perché in italiano la forma indeterminata è maschile… lo so che ad alcune persone questa cosa crea forti malumori e dissensi, ma per ora è così in seguito si vedrà).

‘Se fossi’‘se avessi’ e ‘se potessi’ dovrebbero far fuori i ‘se sarei’‘se avrei’ e ‘se potrei’.

Una cosa da evitare è scrivere gli orari come se fosse un display dell’orologio. Scrivere 23:00 va bene semmai per un’analisi tecnica e informale, ma è bruttissimo da vedere in un libro. Io scriverei solo 23, oppure ‘le undici di sera’… ma eviterei la nota informatica e fredda. Come eviterei, anche, di scrivere l’orario sempre in stile display: io non metterei 00:40 ma, semmai, 0,40. A che serve il doppio zero e anche i due punti? Oltre all’ora digitale, l’identico concetto è valido per le date: perché, per esempio, si scrive “giovedì 06 ottobre”? È brutto scritto così, e ritengo che sia meglio togliere anche lì lo “0” iniziale essendo inutile. Insomma un libro – soprattutto un racconto – deve trasmettere calore non freddezza, pertanto si evitino certi automatismi computerizzati. Intendiamoci, non è affatto un errore riportare i numeri in stile display, ma è solo una questione di stile e, mi si passi l’insistenza, in un libro lo stile è assai importante; o no?

E che dire di po’, che spesso – ahimè – vedo scritto erroneamente in ?

Sul termine taxi io preferisco scriverlo in italiano: tassì, ma ognuno si comporti come vuole. Stesso discorso per tanti altri termini stranieri, quando c’è l’equivalente in italiano. Tuttavia, ormai ci sono alcuni termini che fanno parte dell’uso comune e quindi sono accettati ovunque, tipo: hotelgaragecomputer, eccetera…

Non si dice ‘piuttosto che’, bensì oppure o anziché (a seconda del caso).

Nei plurali dei sostantivi femminili terminanti con le sillabe cia o gia non accentate, si conserva la ‘i’ quando la ‘c’ e la ‘g’ sono precedute da vocale e si elimina la ‘i’ quando ‘c’ e ‘g’ sono precedute da consonante.

Chi, al di là degli “sms”, d’abitudine scrive x al posto di per, xke e non perché, ke invece di che, quali problemi ha? Come utilizza il tempo risparmiato eliminando alcune sillabe? È chiaro che nessuno lo fa in un libro, è ovvio, ma pur scrivendo così altrove che senso ha? Sui telefonini una giustificazione c’è, ma negli altri casi? Non capisco. Ne approfitto per fare un mini elenco di linguaggio da sms, e c’è da sperare che sia confinato solo lì senza travasare in altri ambiti: ki (chi), ke (che), xro (però), cs (cosa), rit (ritardo), qnt (quanto), grz (grazie), ai (hai), cn (con), nn (non), qnd (quando), o (ho), a (ha), dp (dopo), dv (dove) cm (come). Insomma, per i messaggi sui telefonini è accettabile e può essere utile, ma non al di fuori di quell’ambiente perché altrimenti diventano delle orribili forzature.

Riguardo alle virgolette dove ci sono i corsivi: un editore mi disse che o si scrive il corsivo, oppure le virgolette… e le due cose assieme non vanno d’accordo. Si può fare quello che si vuole, beninteso, ma si sappia che questa è una regoletta editoriale.

Prima di chiudere cito un errore che capita spesso a chiunque quando si è distratti, ed è capitato pure a me. Quando si dice “sono andato nei pressi dell’edificio Tal dei Tali”, pensando che fosse l’equivalente del dire “sono andato all’interno dell’edifico” è sbagliato perché, in realtà, s’intende vicinonei dintorniall’incirca, non nel. Ecco, basterebbe rifletterci un attimo prima di scrivere presso ail cui significato letterario è: “luogo non lontano da quello in cui si parla o a cui ci si riferisce”. Non lontano, quindi, ma non lì.

Infine mi si lasci menzionare l’abuso di quell’obbrobrio chiamato ‘H24’: mi è proprio antipatico scriverlo così, soprattutto in un libro; come lo è altrettanto in ogni occasione dire ‘a 360 gradi’ (preferisco ‘a tutto tondo’) o ‘senza se senza ma’ (che non significa niente). Sono un po’ palloso, vero?

Complimenti, ce l’avete fatta a leggere tutto… e so che non è per niente facile sopportarmi: meritate un encomio.  

In gamba,

Giorgio Càeran


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